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QUELLO DEL CILENTO E VALLO DI DIANO E DEGNO DI ESSERE CHIAMATO PARCO NATURALE

QUELLO DEL CILENTO E VALLO DI DIANO È DEGNO DI ESSERE CHIAMATO PARCO
NATURALE?
È questa una domanda che il Codacons si pone dal 2008, da otto anni quel quesito non
trova risposta.
O forse sì.
Ad ogni dossier dell’associazione, periodicamente presentato ai cittadini e alla stampa, si
dipinge un panorama che nel tempo non cambia, degrado, lassismo, sprechi, inerzie
trovano facile terreno nel perimetro del Parco del Cilento, un territorio esteso come le
contraddizioni che segnano le azioni – e le omissioni- dell’ente deputato a gestirlo.
Il rapporto presentato pochi giorni fa contiene un paradosso che farebbe arrossire un
palazzinaro incallito: gli ecomostri spesso sono concepiti dall’ente Parco, nel Parco.
L’istituzione che per legge è tenuta alla tutela, di fronte agli scempi ambientali fa poco,
vede meno ed in più produce direttamente opere inutili e incompiute.
Aquara, Petina, Centola-Palinuro, un itinerario che dagli Alburni conduce a sud, verso il
litorale, un viaggio mesto che segna la via degli ecomostri, il Centro Lontra di Aquara,
l’Osservatorio e il Museo del fiume sempre ad Aquara, lo scheletro grigio dell’Aresta a
Petina, l’Osservatorio della fauna migratoria a Centola-Palinuro.
La lontra che avrebbe dovuto “abitare” il Centro non era quella locale ma un diverso
esemplare, proveniente dal Centro “La Torbiera” di Novara, il fallimento del progetto, da
questo punto di vista, ha scongiurato un sicuro danno alla fauna visto che l’immissione di
esemplari diversi, geneticamente distanti da quelli abitanti i fiumi del Parco, avrebbe
potuto inquinare la popolazione autoctona.
Opere sconclusionate legate da un comune denominatore: essere l’espressione tangibile
della mala gestio.
Come le incompiute che hanno deturpato per anni le colline di Montecorice, il lungomare
di Sapri o il centro urbano di Sassano. Manufatti caduti, dopo anni di battaglie giudiziarie,
sotto i colpi delle ruspe riparatrici.
Sono, invece, ancora in piedi le inutili strutture costruite con fondi europei, oltre
cinquecento mila euro sono serviti per il Centro lontra, un milione e duecento mila euro
per tirare su l’osservatorio della fauna migratoria. L’ambizioso progetto prevedeva, tra le
altre cose, la costruzione di un centro sperimentale per l’ambientamento della selvaggina
autoctona, un centro per la ricerca e lo studio della migrazione dell’avifauna, sentieri
natura, un invaso per lo studio dell’ittiofauna, un centro visite.
Nessuna osservazione di fauna migratoria, nessuna visita, nessuno studio, nessuna ricerca,
rimane solo il cemento.
Strutture pubbliche, spesso abusive, senza alcuna funzione o utilità per la collettività, che
hanno avuto il merito di aver prodotto parcelle professionali, computi metrici, lauti
compensi per gli stati di avanzamento dei lavori, e così sia.
Luca Martinelli, giornalista di Altreconomia e autore di saggi in materia ambientale, nel
suo intervento nel dossier del Codacons Campania pone la questione sotto un riflettore che
diffonde una luce più ampia, “è l'Istat”, afferma Martinelli, “ad offrire dei numeri in grado
di spiegare come ciò che succede nell'area cilentana si ripeta anche altrove nel Paese: viene
misurato, infatti, il numero di edifici costruiti lungo le coste in una fascia di 300 metri
dalla battigia costieri compresi o all’interno di parchi e riserve nazionali o regionali e nelle
zone di interesse archeologico (come la valle dei Templi di Agrigento), cioè in quelle aree
sottoposte a tutela. Risultato? Nonostante i vincoli, il patrimonio edilizio abusivo è
cresciuto dal 1981 del trenta per cento.
In media, gli edifici realizzati in aree vincolate sono quasi 30 ogni 100 chilometri
quadrati”.
Insomma il Cilento è in buona compagnia.
Pierluigi Morena
Ufficio legale Codacons