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LA CATTIVA FINANZA UCCIDE I PICCOLI RISPARMIATORI E LO STATO
LA CATTIVA FINANZA UCCIDE I PICCOLI RISPARMIATORI E LO STATOI derivati sono un pessimo affare, per i risparmiatori e per lo Stato.
Un artificio della finanza in grado di produrre serie ripercussioni sui risparmi dei piccoli investitori
e capace di destabilizzare i conti pubblici.
Recentemente diversi tribunali italiani hanno dovuto affrontare controversie sul tema dei derivati,
titoli il cui prezzo è basato sul valore di mercato di un altro strumento finanziario sottostante (come,
gli indici finanziari, i tassi d’interesse o anche una materia prima, qual è il petrolio, ad esempio).
Nei giudizi civili celebrati nelle Aule di giustizia di Salerno oppure di Milano è venuto alla luce
come il prodotto derivato sia per sua natura niente altro che una scommessa legalizzata, un vero
gioco d’azzardo, con poche regole, nel quale il piccolo investitore è quasi sempre perdente mentre
chi “detiene il banco” possiede i mezzi e le conoscenze per controllare il gioco, per indirizzare le
puntate e per muovere le fiches sul tavolo.
Uno scambio di rischi, come nel poker o come nelle slot machine dove le macchine sono tarate per
perdere quantità di denaro di gran lunga inferiori rispetto ai guadagni garantiti da combinazioni di
segni sempre favorevoli al gestore.
È ancora più grave quando a “scommettere”, non è il piccolo risparmiatore ma lo Stato.
Solo poche settimane fa Bloomberg, una delle principali agenzie di stampa internazionali, ha reso
un’analisi impietosa commentando i dati Eurostat: si è messo in evidenza che negli ultimi tre anni “i
derivati hanno appesantito ulteriormente il debito pubblico italiano, rendendo l’Italia il Paese che ha
subito le maggiori perdite da swap nella zona euro”. L’impatto dei derivati sul debito nel 2015 ha
determinato un aumento ulteriore del debito per 6,8 miliardi mentre altri Paesi, come l’Olanda, con i
derivati hanno tratto guadagni significativi.
I tecnici della materia osservano che il confronto andrebbe fatto in percentuale (l’Italia, come noto,
ha uno dei debiti pubblici più alti del mondo) e che se uno Stato guadagna dai derivati quando i
tassi scendono significa che ha fatto contratti speculativi e non ha agito per assicurarsi contro un
aumento improvviso del costo del debito.
Con i prodotti “spazzatura” messi in circolo sul finire degli anni ’90 gli istituti di credito hanno
inquinato il mercato e messo all’angolo le famiglie che avevano investito in obbligazioni Parmalat o
nei piani finanziari che dietro la promessa di programmi previdenziali celavano veri mutui, quali
MyWay o 4You.
Con gli strumenti derivati il salasso è stato per gli investitori raggirati dalle banche o accecati dal
facile profitto, ma anche per l’Italia, parlano chiaro i numeri pubblicati dall’ Ufficio parlamentare di
bilancio , l’autorità indipendente sulla finanza pubblica. Nel “Rapporto sulla programmazione di
bilancio 2016” si legge che gli effetti sul debito italiano dei contratti derivati sono stati negativi in
ognuno degli ultimi cinque anni analizzati , per 2,4 miliardi nel 2011, fino ad arrivare addirittura ad
oltre sei miliardi nel 2015.
E pensare che molti analisti arrivano ad una conclusione inquietante, l’uso delle
privatizzazioni (sembrano in arrivo vendite di quote di Ferrovie, la quotazione dell’Enav, forse altre
quote di Poste o di Eni) per coprire i buchi lasciati dai derivati.
E non sta meglio la rigida Germania dove la potente Deutsche Bank ha emesso derivati per 75mila
miliardi di euro, 20 volte il Pil tedesco, mentre nel bilancio della banca teutonica pesano più di 30
miliardi di euro di derivati ad alto rischio.
Cifre che fanno impallidire i numeri del fallimento di Lehman Brothers…..
Pierluigi Morena