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OBSOLESCENZA PROGRAMMATA OVVERO QUANDO LO SPRECO E STRATEGIA INDUSTRIALE

OBSOLESCENZA PROGRAMMATA…OVVERO QUANDO LO SPRECO E’ STRATEGIA
INDUSTRIALE!
Anche oggi, dopo aver parlato il mese scorso di cibo sprecato, continuando su
quell’onda vorrei indurre il lettore ad una riflessione su un'altra forma di spreco della
nostra società rappresentata dal ciclo di vita dei beni di consumo. Ogni qual volta
(quasi sempre!) che la durata di un prodotto viene predeterminata dal produttore
siamo in presenza di un fenomeno chiamato obsolescenza programmata o
pianificata. Si tratta di una vera e propria strategia di politica industriale che
attraverso la immissione sul mercato di prodotti, appositamente programmati per
durare poco, si propone lo scopo di indurre il consumatore a nuovi acquisti in maniera
sempre più frequente. Il telefono cellulare rappresenta sicuramente l’esempio di
maggior diffusione e comprensione del fenomeno. Oggi tutti riteniamo di avere
bisogno di uno smartphone, Tanto che una pubblicità in questi giorni ci chiede se per
quest’estate siamo pronti per “la prova smartphone!” Bene! Una volta assodato tale
bisogno chiedetevi quanti telefoni avete cambiato negli ultimi dieci anni e se qualcuno
di questi sia mai stato riparato e se il costo di una sua riparazione fosse più o meno
conveniente dell’acquisto di un nuovo modello. Non stupitevi della risposta che vi
darete. Quella di cui parliamo non è una pratica commerciale nuova. Nel secolo
scorso, all’inizio degli anni 30, i produttori occidentali di lampadine ad incandescenza
misero in atto un vero e proprio Cartello per incrementarne la vendita del prodotto e
concordarono di ridurre artificialmente la durata delle stesse da 2.500 a 1000 ore
(Cartello Phoebus). Infatti dopo il boom di acquisti iniziale il mercato entrò in crisi e
nessuno acquistava più lampadine perché non ne aveva bisogno. L’obsolescenza di
cui parliamo può essere reale o percepita. Nel primo caso può essere conseguenza di
un difetto di funzionamento del prodotto, incompatibilità con nuovi aggiornamenti,
non disponibilità di parti di ricambio. Invece si parla di obsolescenza percepita ogni
qual volta il consumatore, attratto dal lancio di un nuovo modello dello stesso
prodotto, sostituisce quello in suo possesso anche se ancora funzionante. Tutto questo
si verifica sicuramente nel settore della tecnologia. Quante volte il telefonino, il
tablet di ultima generazione dopo circa 12-18 mesi smette di funzionare, proprio in
prossimità dello scadere della garanzia. In alcuni casi ci sentiamo dire proprio
dall’assistenza clienti che non esistono le parti di ricambio o che la riparazione non
conviene perché troppo onerosa. In concomitanza con tale avvenimento ecco che la
casa produttrice annuncia l’uscita di un nuovo modello, con tecnologia naturalmente
più avanzata del nostro, ed allora decidiamo di non riparare ma di acquistarne uno nuovo!La famosissima Apple, nel 2003 venne citata in giudizio con una class action.
Oggetto della controversia era la brevissima durata delle batteria dell’IPOD, da poco
immesso sul mercato e l’ impossibilità di provvedere al suo ricambio che induceva il
consumatore all’acquisto di un nuovo modello. In risposta a tale iniziativa la Apple,
senza confermare le accuse a suo carico, accettò di offrire rimborsi ai clienti incappati
in batterie difettose e di rimborsare le spese legali dei denuncianti ponendo un freno
allo scandalo che ne sarebbe scaturito. Ma non è solo il settore dei prodotti tecnologici
ad essere interessato dalla pianificazione della durata dei prodotti. Pensiamo al mondo
della moda! Le nuove collezioni, le nuove tendenze rispetto all’ anno precedente ci
fanno sembrare fuori moda i capi che abbiano in armadio e ci inducono a nuovi
acquisti ma è anche vero che molto spesso la scarsa qualità dell’abbigliamento ne
impedisce la durata per le stagioni successive costringendoci a rinnovare il
guardaroba. Gli svantaggi di queste pratiche non sono solo a carico del nostro
portafoglio ma anche, cosa ben più grave, dell’ambiente in cui viviamo. Che fine fanno
tutti i computer, i telefonini, i televisori dismessi in un periodo così breve? Dove vanno
a finire tutti questi rifiuti tossici? Questi sono interrogativi che una società civile
dovrebbe porsi, al di là delle logiche di mercato. In Europa, La Francia si è posta come
modello nella lotta contro questo tipo di abusi. Infatti nel 2014, con un emendamento
alla legge sull’efficienza energetica, ha stabilito che l’obsolescenza programmata
costituisce reato. La pena massima prevista è di due anni di reclusione, per
l’amministratore delegato dell’azienda responsabile, ed una multa di 300.000 euro. In
Italia, nel 2013, il fenomeno è stato oggetto di una proposta di legge da parte di un
deputato di Sinistra Ecologia e Libertà. Il testo di legge, senza prevedere conseguenze
penali, aveva ad oggetto una serie di disposizioni per il contrasto dell’obsolescenza
programmata dei beni di consumo consistenti nell’aumento della garanzia dei
prodotti, da due a cinque anni, e nella previsione dell’obbligo per le aziende di fornire
i ricambi necessari per almeno dieci anni e rendere disponibili le istruzioni necessarie
per la riparazione. Questo disegno di legge non è mai stato licenziato dal nostro
Parlamento lasciando il problema privo di regolamentazione. Allora cosa fare? Come
comportarsi? In mancanza di una legge nel nostro paese è necessario un
cambiamento del nostro costume, dei nostri comportamenti. Nella scelta di un
prodotto prima di procedere all’acquisto verifichiamo la condotta tenuta dalla casa
produttrice e quindi, ad esempio: se per quel prodotto, siano disponibili parti di
ricambio o se vi siano difficoltà in una eventuale riparazione. Non dobbiamo lasciarci
ingannare dai continui bisogni che crea il mercato e che corrispondono sempre meno alle nostre reali necessità Il consumatore deve acquisire il ruolo di centralità che gli
compete nel mercato e non esserne schiavo. I comportamenti semplici fanno la
differenza! Non ingoiamo il rospo!
Avv. Raffaella D’Angelo Resp. Uff. Legale CODACONS CAMPANIA