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LA RICERCA DEL PREZZO GIUSTO E UNA SCELTA DI CIVILTA

La ricerca del prezzo giusto è una scelta di civiltà
Essenziali ma non protetti. Si potrebbe riassumere così lo status dei lavoratori
agricoli in alcuni contesti al tempo di Covid. Parliamo di quella parte di lavoratori,
considerati indispensabili per assicurare gli approvvigionamenti di cibo ma al tempo
stesso privi di tutele. Spesso vittime del caporalato, sottopagati ed esposti
costantemente a sostanze pericolose per la loro salute come i pesticidi. Sono
persone che vivono condizioni di lavoro in cui le famose regole anti contagio – lavarsi
spesso le mani, mantenere le distanze di sicurezza tra persone, evitare gli
assembramenti – diventano impraticabili, se non surreali. Un copione che
conosciamo bene in Italia e si replica in molte parti del mondo. Nel periodo di chiusura
totale la nostra sopravvivenza attraverso la necessità quotidiana della spesa e del
pellegrinaggio al supermercato ci ha distratto da temi di importanza sociale come lo
sfruttamento della catena di produzione alimentare. Una realtà troppo spesso
costruita per vendere prodotti alla migliore offerta, mantenendo alti i profitti di chi li
mette negli scaffali e sminuendo il compenso per chi li ha prodotti. In agricoltura
sfruttamento e violazione dei diritti umani sono piaghe molto diffuse: un lavoratore
su due è irregolare, le donne vengono pagate fino al 30 % in meno, moltissimi
braccianti si spaccano la schiena nei campi e ricevono paghe da fame. 3 o 4 euro per
un cassone di 300 kg di pomodori (dati Oxfam). L’impossibilità di molti lavoratori
stranieri di rientrare in Italia dai luoghi di origine, a causa della pandemia, non ha
favorito la condizione di quelli rimasti. L’aumento della domanda e dell’offerta delle
grandi catene ha anzi incrementato queste situazioni. Perché sono soprattutto le
grandi catene di distribuzione che, più di altri, alimentano lo sfruttamento. L’estate
scorsa un supermercato, con moti punti vendita nella nostra città, era arrivato a
vendere le angurie a pochi centesimi al kilo realizzando, ciò nonostante, il suo
margine di guadagno come è nella logica di impresa. La convenienza spesso benda
gli occhi del consumatore, eppure oggi ignorare le informazioni sulla formazione del
prezzo dei prodotti che acquistiamo si traduce in una vera e propria sofferenza per le
persone che lavorano nella filiera del cibo che alimenta situazioni di disuguaglianza
nel nostro paese. Spesso ci siamo occupati, io per prima, di cosa si nasconda dietro
l’etichettatura ricercando la correttezza delle informazioni fornite a vantaggio anche
della ricerca e della granzia di maggior qualità del prodotto. Oggi dobbiamo
pretendere di sapere ancor di più! Dobbiamo andare a monte della produzione. Dobbiamo pretendere una PATENTE del cibo che consumiamo. In questi giorni è stata
lanciata una campagna in tale senso, in coincidenza della giornata mondiale
dell’alimentazione del 20 ottobre, che mira a trasformare in legge questa domanda di
conoscenza per la tutela della dignità dei lavoratori dell’agricoltura e del settore
alimentare così come è, già, stato fatto per contrastare lo spreco di cibo. Prima che
però tutto ciò diventi realtà noi consumatori cosa possiamo fare? In primo luogo
riflettere nei nostri acquisti e diffidare di un prodotto che abbia un prezzo troppo
basso e guardare, invece, al giusto prezzo. Per produrre una anguria quanta acqua
occorre? Quanto lavoro? La raccolta è meccanica o a mano? Quale è il costo delle
manodopera? Forse una grossa produzione di quel prodotto a costo così basso sarà
stata favorita dall’uso di agenti chimici? Ebbene la risposta a tutte queste domande
sarà che 10 centesimi al kg è un costo non solo economico ma sociale non equo e
quindi sarà meglio soddisfare la voglia di anguria altrove, magari dal piccolo
contadino che ci può raccontare la storia di quel prodotto. Perché il vero potere è
quello che detiene chi liberamente sceglie cosa comprare! NOI CONSUMATORI, a
maggior ragione in un momento di crisi globale dovuta alla pandemia, come quello
che stiamo vivendo, non dobbiamo essere obiettivi passivi del mercato quando
possiamo esserne, invece, gli attori orientando la produzione in base alle nostre
scelte. I comportamenti, anche piccolo, fanno la differenza. Non ingoiamo il rospo!
Avv. Raffaella D’Angelo Uff. Legale CODACONS CAMPANIA