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CHI DICE DONNA DICE CASALINGA

“Chi dice donna dice casalinga”: lo stereotipo di genere fonda sull’antica divisione sessuale dei ruoli sociali
che hanno strutturato sulle spalle del genere femminile l’economia domestica trasformando la cura parentale,
il caregiving, le faccende domestiche.
Tralasciando le ovvie ma necessarie considerazioni su questo, in occasione della Festa della mamma vale
ricordare il valore – in questa sede tutto economico – del lavoro delle casalinghe; alcuni siti di riferimento per
il mercato dell’occupazione avevano provato a quantificarlo: nel 2017 salary.com aveva preventivato una
retribuzione annua che supererebbe i 130 mila euro, prontopro.it – nello stesso periodo – aveva dimezzato la
previsione a circa 3mila euro mensili. Essendo ruolo ibrido, lo stipendio è calcolato in riferimento alle
oggettive responsabilità di cui la casalinga si fa carico. Nello stesso periodo di riferimento, il focus Istat del
2016 "Le casalinghe in Italia" attestava che «il numero medio di ore di lavoro non retribuito effettuate in un
anno è» pari al 71% del totale del lavoro non retribuito: «un valore superiore al numero di ore di lavoro
retribuito prodotto dal complesso della popolazione».
«[Nel 2014] l’ammontare complessivo di ore di lavoro non retribuito è (…) pari a 1,7 volte di quello del lavoro
retribuito»: «Le casalinghe, con 20 miliardi e 349 milioni di ore, sono i soggetti che contribuiscono
maggiormente a questa forma di produzione, che, pur non essendo retribuita, è fondamentale per il benessere
del Paese».
Il report 2021 Le equilibriste di Save the children denuncia: «
nel mercato del lavoro, quando oltre
all’“essere donna” - già di per sé un oggettivo svantaggio - si aggiunge l’“essere madre”, il quadro
diventa drammatico
»; la distanza tra i generi è ancora siderale: nel 2019, oltre 7 provvedimenti su 10
dimissioni o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro a causa della difficoltà di conciliare
genitorialità e lavoro riguardavano madri
.
Continua: «
La “child penalty”, la penalità a carico delle donne lavoratrici all’arrivo di un figlio o
anche solo per via della prospettiva di poter o voler diventare madri, si rileva per i redditi materni
ma non quelli paterni
».
Ciò ha le sue radici sia nelle
«distorsioni sul mercato del lavoro (possibili discriminazioni legate alla
maternità) sia la scelta da parte delle madri (effetto non osservato nei padri) di dedicare più tempo
alla famiglia che al lavoro, sulla base di ruoli e stereotipi di genere
».
Molto è stato fatto ma ancora di più resta da fare: investire sulla formazione delle nuove generazioni per
eradicare lo stereotipo della divisione sessuale del lavoro è il primo, infinitesimale passo per dare reale valore
ai sacrifici del ruolo di caregiver familiare, incoraggiare lo sviluppo emotivo del maschio e l’emancipazione
femminile, ostacolati da questa forma mentis.
Dott. Gerardo Stromillo,
Responsabile della Comunicazione CODACONS Campania